martedì 17 maggio 2011

Srebrenica: Alice Meden's photo exhibition in Trieste

Srebrenica
exhibition of Alice Meden, photographer
Circolo Ficantieri Wartsila
Galleria Fenice, 2 – Trieste

opening May 18th 2011
at 18,30

This is an exhibition that I hope to go and see tomorrow :)
Alice Meden is a young photographer and graphic designer from Trieste.
Alice and I were studying graphic design together at the .lab of Udine and I'm really happy that finally this photo exhibition can happen! We haven't seen each other for a while (we both are very busy) so I hope this can be an opportunity to meet again! I wish her good luck for tomorrow :)

Here's a description of the exhibition in italian:
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Alice Meden - Srebrenica

Emir Suljagic era un ragazzo l’11 luglio 1995, quando le milizie del generale Mladic entrarono nella città
bosniaca. Dal 12 al 19 ammazzarono un migliaio di prigionieri al giorno, per un totale di oltre ottomila
musulmani, inclusi alcuni minorenni e molti anziani. Non si può sterminare in quella proporzione senza farsi
scoprire (anche dai satelliti), tanto più se la strage avviene sotto il naso delle Nazioni Unite. Eppure in quella
settimana nessuno tra chi doveva sapere o quantomeno intuire (Onu, governi occidentali) tentò di fermare
la strage. Lui si salvò. E oggi racconta in un libro lo stupore e l’orrore.
Tratto dall’intervista di Alessandro Astone fatta all’autrice Alice Meden, sulla rivista STRADE:
Nella prima metà degli anni 90 del secolo scorso, il territorio dei Balcani è stato il tragico teatro di una serie
di guerre che hanno portato allo sfaldamento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Se, nel 1991, per la vicina Slovenia le cose si risolsero in fretta e con un relativamente modesto spargimento
di sangue, altrettanto non si può dire per la Croazia e per la Bosnia-Erzegovina, dove le operazioni belliche
si conclusero solamente nel 1995. La causa di questi conflitti è da ricercarsi nei forti contrasti fra nazionalità
che, per decenni, erano state costrette a convivere sotto la dittatura del Maresciallo Tito.
Stringiamo l’obiettivo sulla martoriata Bosnia-Erzegovina, dove vivono tre popoli: bosniaci musulmani, croati
e serbi. Formalmente si tratta di una confederazione, in realtà il territorio è sostanzialmente diviso in due
parti: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica SRPSKA, espressione del gruppo serbo. L’attuale
assetto politico-istituzionale è il frutto dei negoziati svoltisi a Dayton (USA) nel novembre ‘95.
Focalizziamo ora l’attenzione su una città della Bosnia centro-orientale, tristemente famosa per i fatti di
sangue che vi accaddero nel luglio del 1995.
Cosa ti ha spinto, Alice, a visitare quei luoghi?
Mi sono recata in Bosnia su richiesta dell’editore, Piero Budinic.
In realtà, prima di contattare me, aveva provato a dare questo lavoro a Tarik Samarah, un fotografo che era
presente, nel 1995, alla scoperta delle fosse comuni e che è stato testimone di alcuni episodi particolarmente
forti. Memore dell’esperienza ha rifiutato di ritornare a Srebrenica. Ho quindi accettato con uno strano
sentimento di orgoglio di andare dove altri non volevano spingersi, l’ho presa come una sfida ed un ottimo
incentivo per partire, oltre che ad usare appunto il mio mezzo di comunicazione per un scopo utile. Inoltre,
devo dire che la guerra nei Balcani, che ho vissuto indirettamente da bambina, mi ha lasciato parecchi
ricordi. Ad esempio ci sono delle canzoni di quel periodo che non riesco ad ascoltare senza associarle al
conflitto, ricordo i profughi che passavano per Trieste, alle volte, di notte si riuscivano persino a sentire dei
rumori che associavo alle deflagrazioni. Ripensando a quando frequentavo le elementari, ricordo che per un
certo periodo abbiamo avuto una nuova compagna di classe, una ragazzina di Sarajevo che aveva portato
tra noi bambine una inaspettata energia e voglia di vivere.
Tutte queste esperienze hanno lasciato un segno dentro di me, ricordo perfettamente quanto è stato orribile
percepire la guerra, anche se in lontananza. Questa è stata un’ottima occasione per andare a vedere con i
miei occhi quello di cui mi ero fatta solo una vaga idea.
…. Al confine tra Croazia e Bosnia l’aria si fa subito pesante: accanto al cartello “Benvenuti in Bosnia” ci
sono i resti di un edificio bombardato.
lungo il ponte, sono ancora presenti le rovine delle case musulmane, abbandonate in fretta e furia dai loro
abitanti, i quali si guardano bene dal riabitare le stesse case dove si sono svolti episodi di violenza, stupri e
massacri.
… “Quando arrivi in Bosnia, senti la terra piangere”; la sensazione che ti accompagna per chilometri e
chilometri oltre al confine, sulle strade costeggiate da edifici bombardati, è proprio la tristezza unita allo
sconforto. Ma a Srebrenica, invece la terra urla, non piange, grida di dolore.
C’è una strana atmosfera nell’aria, che ho percepito soprattutto la notte. È come se la terra mantenesse la
memoria di ciò che è accaduto. Nel primo viaggio abbiamo visitato delle vedove a Lukanica. Donne che,
in precedenza, non avevano niente a che fare le une con le altre, e che non si conoscevano, mentre ora si
ritrovano a vivere insieme perché lo Stato ha assegnato loro delle case comuni. Abbiamo portato loro degli
abiti dismessi e ci hanno ospitato per la notte. Il giorno successivo siamo andati a Srebrenica, passando
prima però a Potocari dove c’è anche un cimitero. Nel cimitero del memoriale, ogni luglio vengono seppelliti
i resti che durante l’anno vengono ritrovati ed identificati.
Il secondo viaggio, fatto in agosto, è stato più articolato invece. Piero si era letto il libro ancora nella versione
inglese, segnandosi una serie di località descritte nel libro. Siamo andati a Sarajevo ed abbiamo acquistato
le mappe di Srebrenica e dintorni in un istituto di cartografia, il quale ci ha fornito le stesse mappe che
erano state usate durante la guerra dai caschi blu. Abbiamo conosciuto un ragazzo Senad, che ci ha fatto
da guida, lo abbiamo incontrato a Srebrenica, dove lui è ritornato a vivere alla fine dei conflitti.
Col testo in una mano e le mappe nell’altra, ci ha guidato alla scoperta di quei luoghi orribili, certe volte
andando a colpo sicuro, altre volte chiedendo informazioni ai passanti. Ricordo che Senad chiese ad una
donna se avesse idea di dove si trovassero delle fosse comuni che stavamo cercando e lei rispose “Non so
niente io, sono serba”.
… Le persone percepiscono il che governo è corrotto, distante e che non dà loro aiuto. C’è una povertà
evidente ed ovunque sono rimasti i segni della guerra. Si vuole dimenticare, ma non ci sono soldi né risorse
per la ricostruzione, tanto meno industrie importanti che potrebbero far sperare in una ripresa dell’economia.
Tante vedove ricevono una modesta pensione da parte dello Stato, ma dal momento che perderebbero
questo aiuto, nel caso in cui lavorassero regolarmente, preferiscono fare piccoli lavoretti in nero o rimanere
a casa. Le paghe sono basse: un’operaia che abbiamo incontrato ci ha detto che il suo stipendio arriva 76
euro al mese per 40 ore settimanali.
La nascita di un figlio è vista come una benedizione. I giovani si sono spostati verso le grandi città, tranne
alcuni che sono rimasti con il sogno di riprendere una vita normale nei luoghi in cui sono nati.
… Ci sono grande sconforto e molto poca fiducia: si vive alla giornata. La paura di un ritorno del conflitto
non se n’è mai andata.
.. i rapporti ora sono di convivenza forzata. Non si verificano episodi di violenza legati a razzismo o
discriminazioni, ma i due popoli tendono a raggrupparsi dove trovano appartenenti alla loro stessa religione.
Questo significa che, mentre prima nei quartieri e nei palazzi Bosgnacchi e Serbi convivevano tranquillamente,
ora si nota che un gruppo è più presente dell’altro. Ci sono zone dove la maggioranza è musulmana, altre
dove è ortodossa, ma non stiamo parlando di un clima di intolleranza pesante, è una tendenza che si nota.

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